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Il Gattopardo
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa)

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Il Gattopardo è un romanzo storico, l''unico scritto da
Giuseppe Tomasi di Lampedusa. L''autore trasse ispirazione da vicende della sua
antica famiglia e in particolare dalla vita del suo bisnonno, il Principe
Giulio Fabrizio Tomasi di Lampedusa, vissuto negli anni cruciali del
Risorgimento e noto anche per le sue ricerche astronomiche e per l''osservatorio
astronomico da lui realizzato.Il nome del romanzo ha l''origine nel stemma di famiglia dei
Tomasi <1> ed è così commentato nel romanzo stesso: «Noi fummo i Gattopardi, i
Leoni; quelli che ci sostituiranno saranno gli sciacalletti, le iene; e tutti
quanti Gattopardi, sciacalli e pecore continueremo a crederci il sale della
terra.»Il Gattopardo si ispira alla vita dell''antenato dello stesso
autore, che nel romanzo prende il nome di Don Fabrizio Corbera, Principe di
Casa Salina, e della sua famiglia tra il 1860 e il 1910, in Sicilia (a
Palermo e nel feudo ragusano di Donnafugata).Don Fabrizio è padre di sette figli ed è esponente di un
casato che per secoli "non aveva mai saputo fare neppure l''addizione delle
proprie spese e la sottrazione dei propri debiti" . Il principe possedeva
forti inclinazioni alle matematiche; aveva applicato queste all''astronomia e ne
aveva tratto sufficienti riconoscimenti pubblici e gustosissime gioie private.
All''inizio del primo capitolo si parla di un cadavere rinvenuto nel giardino di
Casa Salina ?il cadavere di un giovane soldato del quinto battaglione cacciatori,
che ferito nella zuffa di san Lorenzo contro le squadre dei ribelli era venuto
a morire, solo, sotto un albero di limone. Lo avevano trovato bocconi nel fitto
trifoglio, il viso affondato nel sangue e nel vomito, le unghia confitte nella
terra, coperto dai formiconi; e di sotto le bandoliere gl''intestini violacei
avevano formato pozzanghera.?Nel maggio 1860, dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia, Don
Fabrizio assiste con distacco e con malinconia alla fine del suo ceto. La
classe aristocratica capisce che ormai è prossima la fine della sua supremazia:
infatti approfittano della nuova situazione politica gli amministratori e i
mezzadri, la nuova classe sociale in ascesa. Don Fabrizio, appartenente ad una
famiglia di antica nobiltà, viene rassicurato dal nipote Tancredi, che, pur
combattendo nelle file garibaldine, cerca di far volgere gli eventi a proprio
vantaggio. Quando, come tutti gli anni, il principe con tutta la famiglia si
reca nella residenza estiva di Donnafugata, trova come nuovo sindaco del paese
Calogero Sedara, un borghese di umili origini, rozzo e poco istruito, che si è
arricchito ed ha fatto carriera in campo politico. Tancredi, che in precedenza
aveva manifestato qualche simpatia per Concetta, la figlia maggiore del
principe, si innamora di Angelica, figlia di don Calogero, che infine sposerà,
abbagliato sicuramente dalla sua bellezza, ma attratto anche dal suo notevole
patrimonio.





E'' Tancredi, nel comunicare al Principe la decisione di
unirsi alle truppe piemontesi, che dice la famosa frase: "Se vogliamo che
tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi"Un altro episodio significativo è l''arrivo a Donnafugata di
un funzionario piemontese, il cavaliere Chevalley di Monterzuolo, che offre a
Don Fabrizio la nomina a senatore del nuovo Regno d''Italia. Il principe però
rifiuta, sentendosi troppo legato al vecchio mondo siciliano. E cercando di
raccontare al suo ospite la capacità di adattamento che i siciliani, sottoposti
nel corso della storia all''amministrazione di molti governanti stranieri, hanno
dovuto giocoforza sviluppare. E anche la risposta di Don Fabrizio è
emblematica: "...E dopo sarà diverso, ma peggiore."La vita del principe da allora prosegue in modo monotono e
sconsolato, fino alla sua morte che lo coglie in un''anonima stanza di albergo
nel 1883, mentre tornava da Napoli, viaggio intrapreso per sottoporsi a visite
mediche. Nella sua casa rimarranno le tre figlubili, inacidite da una vita
chiusa e solitaria.



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