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Il Gattopardo
(Giuseppe Tomasi di Lampedusa)

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Tomasi di Lampedusa morto nel 1957, non potè mai vedere la pubblicazione del suo libro nell'anno successivo e la sua strepitosa diffusione in tutta Italia.
Poichè l'autore non riuscì a riordinare e rielaborare alcuni pezzi del suo libro, molte furono le stampe, numerose le aggiunte e le omissioni di parole, gli spostamenti di interi capitoli.
Il Gattopardo è un libro che può essere letto in diverse chiavi di lettura; la prima, quella che si ferma al senso letterale, vede nella storia del principe di Salina, un avvincente romanzo storico.
La vicenda si svolge durante la seconda metà dell'Ottocento, nella quale l'unificazione dell'Italia con la venuta dei Garibaldini spazza via la ormai decadente nobiltà borbonica, e porta all'ascesa i nuovi ricchi, i borghesi, più astuti e abili a mutare e adeguarsi agli sconvolgimenti di quegli anni.
Il Principe, uomo immenso e fortissimo, sembra incarnare, oltre che lo stemma della sua famiglia, il gattopardo, la nobiltà e la Sicilia stessa. Tutto il romanzo è costruito secondo una scala discendente il cui protagonista, dapprima pieno di vita, nel susseguirsi delle pagine perde questo suo desiderio di continuare a vivere, soffocato da una realtà di apparenze, di luci e di ricchezze orami sbiadite, da persone, donne frivole, dalla sete di potere e ricchezza.

Le introspezioni e le riflessioni che spesso il Principe compie, pone il libro ad una seconda chiave interpretativa, introspettiva-psicologica. L'intero scritto è come un'unica, grande metafora esistenziale: nel proseguire della storia la feroce bestia cambia veste e da stemma familiare, diventa immagine del protagonista, che del gattopardo ha la forza e l'imponenza.
Il Principe Fabrizio Salina è un uomo complesso e ansioso. Caratterizzato da un profondo conflitto interiore, tormentato dai sensi di colpa (verso la moglie per i suoi tradimenti o per aver votato 'sì' al plebiscito), mostra una calma tutta esteriore, che cela un'ira repressa.
Il Principe ha pensieri che sfuggono al mondo circostante degli amici e della famiglia, compie riflessioni incomprensibili per il prossimo che lo conducono all'inesorabile rifugio in sè e all'osservazione del cielo e degli astri, sua enorme passione.
Un solo personaggio ne intuisce l'essenza ed è Tancredi, il nipote che sa sciogliere i dubbi dello zione, il solo in cui l'uomo-gattopardo possa in qualche modo vedersi riflesso, mentre il suo sguardo assiste impotente al crollo delle istituzioni e dei costumi sociali, la fine di un'epoca.
Appartiene ad una generazione a cavallo tra il vecchio e il nuovo tempo, e che si trova a disagio in entrambe.

Le descrizioni di paesaggi assolati, dominati dal senso di morte e dalla pesante pigrizia di un clima quasi africano, fanno intravedere distese di campi e colline tipicamente siciliane, e di minuziose raffigurazioni, tra cui quella dei giardini di Villa Salina;
E' poi indispensabile ricordare l'amato alano di don Fabrizio, che è l'unico personaggio positivo dell'intera storia.
Bendicò, amico a quattro zampe, è come le stelle: tranquillizza il principe, fiuta la falsità e le ipocrisie (il ringhio contro Angelica). Alcuni critici hanno sottolineato il ruolo strutturale all'interno della vicenda: appare all'inizio, facendo irruzione nella sala in cui si recita il rosario e nell'ultima pagina, quando viene gettata la sua carcassa, trovando riposo in un mucchietto di polvere livida. Dopo essere stato imbalsamato, metafora della volonta di mantenere in vita l'antico ceto, sarà infine buttato via come simbolo della fine non solo di un'epoca ma anche dei protagonisti che a questa avevano dato vita.

Ma la chiave di lettura è incentrata sulla morte, disegnata da una clessidra in cui scorrono rapidi granellini di sabbia. La sua ombra è sempre presente come un ronzio continuo nell'orecchio di don Fabrizio.
Sul letto di morte, la confessione di don Fabrizio ci da la sensazione di procedere verso un epilogo preannunciato,peccati parevano al principe troppo meschini per farne un elenco in quella giornata di afa;
Ma era tutta la vita ad essere colpevole, non singoli fatti, e don Fabrizio tace.
Tace in nome di se stesso, come ultimo dei Salina, per ciò che può significare il Gattopardo.



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