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La Lunga Vita Di Marianna Ucria
(Dacia Maraini)

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-Lui elegante e trasandato...lei chiusa dentro un corsetto amaranto che mette in risalto la carnagione cerea-
Padre e figlia, anzi il signor Padre e la mutola sono legati in un rapporto che va oltre il silenzio. Ma il signor padre è un uomo e la mutola una donna, vivono nel mondo arcaico, dove certe cose sono da maschi e altre da femmine. La piccola mutola, innamorata del padre, assiste alla scena cruenta dell'esecuzione di un uomo: l'impiccato anzichè penzolare continua a torcersi sospeso in aria, il collo gonfio e gli occhi strabuzzati fuori dalle orbite. La mutola prova a parlare ma non ce la fa.
-Scantu la 'nsurdiu e scanto l'avi a sanare- (uno spavento l'ha assordata e uno spavento la deve guarire), queste parole aveva trovato scritto un giorno in una lettera del signor padre alla signora madre. Ma di quale spavento parlava?

Marianna non ricorda perchè ad un certo punto della sua vita le orecchie si siano chiuse e la bocca rimasta immobile. Nè seppe mai per quale motivo assistette all'impiccaggione di un ragazzo giustiziato dal Tribunale dell'Inquisizione. Ma la sua menomazione non si traduce in una sconfitta, invece le permette di contraddistinguersi rispetto alle donne del suo stesso rango, riempiendo il suo silenzio di pensieri.
Pensieri che ruba dalla mente degli altri, dove riesce a penetrare senza sforzo, che costruisce con acume, forte della filosofia del signor Davide Hume e soprattutto forte della sua intelligenza, sollecitata dalla lettura, dalle riflessioni, dalla coscienza di dover lottare per non sprofondare nel labirinto del suo stato senza speranza.

Marianna entra negli aspetti più nascosti delle cose, senza sottrarsi al suo destino di povera femmina, nata solo per saziare l'appetito sessuale dell'uomo, allevare figli, ubbidire, sottostare, invecchiare precocemente.
Sposa a trecidi anni, partorisce i suoi figli e li alleva, ma non fisicamente, perchè nelle nobili famiglie ci sono i subalterni a pensare a tutto. Alleva i suoi figli con dedizione, attenta alla loro crescita mentale: Manina, la paciera, Felice, portato per la medicina, Giuseppa, che rincorre la passione, Mariano che rifiuta di crescere, Signoretto, il più piccolo, prediletto: tutti assieme a giocare vivere comunicare, sia pure per iscritto.
Lei, Marianna, figlia di una signora madre inetta, infelice, affogata nel laudano, persa nel torpore della frustrazione, capace solo di ricordarle la sua condizione di mutola, viene regalata senza rimpianti al vecchio alcolizzato cognato.

Marianna è senza infanzia, senza amore, senza udito, senza futuro. Sullo sfondo una terra siciliana orgogliosamente ancorata alla sua inettitudine, profumata, arsa, odorosa di limoni, pietanze succolente, fatta di estati torride e inverni ventosi, di cavalli, monacazioni, proverbi, arroganza nobiliare, immobilismo e sfavillio, di boschi di sugheri, di squallida miseria.
Capace di usare la penna in un momento storico in cui le donne sono tutte analfabete o quasi, è una femminista senza la coscienza di esserlo, capace di prendere le redini delle sue proprietà e gestirle.
Solo l'amore non sa accettare, che non conosce, perchè lei ha conosciuto solo gli amplessi a cui era necessario sottostare per dovere, quelle continue violazioni fisiche e psicologiche del signor marito zio che le penetrava il ventre senza tenerezza, muto come muta è la sua sposa.

L'amore sotto le vesti di un servo tuttavia la insegue e Marianna fugge. La cerca con gli occhi, con il corpo, con la mente, con ingenui tranelli. un cavaliere dai capelli ricci e neri sul suo cavallo veloce e dispettoso, la implora, lei resiste, la cerca, la trova, la perde...si trovano, si amano.
Un amore impossibile per Marianna, nobile, duchessa, mutola, vedova, rappresentante della stirpe Ucrìa. Un amore da cui bisogna fuggire.
Decide di partire, prende un brigantino alla ricerca di se stessa.
Ed una notte ricorda, e quel silenzio si tramuta in un grido agghiaccianteante che la vede bambina violata nel corpo in un tempo remoto da un uomo che nel trascorrere degli anni sarebbe divenuto il marito-zio.

Il libro è molto semplice da leggere, non presenta grandi particolarità se non per l'originalità del tema trattato: una realtà sconosciuta ai più, che tutti cercano di ignorare, ma che è presente nella nostra realtà.
La Maraini non propone al lettore una versione pietosa e triste della mutola, ma piuttosto con novizia di particolari mostra la vita di una donna vittoriosa, che ha lottato e sconfitto quei preconcetti che distinguono la normalità dall'handicap.



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