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La Banalità Del Male
(Arendt,Hannah)

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Interessante scritto della filosofa tedesca pubblicato a New York nel 1963. Esso non è che il resoconto del processo tenutosi a Gerusalemme al gerarca nazista Karl Adolf Eichmann, che poi verrà giustiziato nel 1962 per crimini contro l'umanità. E' interessante notare il parallelo che traccia l'Autrice tra la vicenda individuale dell'uomo e la ricostruzione storico-culturale della diffusione del pensiero nazista nella Germania di Hitler. La Arendt si sofferma su tutto quel groviglio di ragioni culturali, filosofiche, pseudo-scientifiche, irrazionali che portarono al radicamento dell'antisemitismo che culminò nelle deportazioni di massa e nella folle idea di Hitler della "soluzione finale". Accanto a queste disamine storiche, si affronta la personalità dell'uomo Eichmann. In realtà, ci si aspetterebbe di riconoscere in lui le arcane e misteriose ragioni del Male, ci si aspetterebbe di trovarsi a cospetto di un genio negativo, una persona diabolica e persino, paradossalmente, affascinante nella sua malvagità scientifica dell'applicazione del crimine. Niente di tutto questo. Eichmann appare uomo fisicamente grigio e dimesso, ha l'aspetto di di un burocrate, di un zelante ragioniere. Nel ricostruire la sua personalità, la Arendt sottolinea come lui stesso riconobbe di essere un uomo privo di carattere, un gregario che trovò la realizzazione della sua vita dopo essersi iscritto al partito nazionalsocialista nel 1932. Egli ammise che, dopo la caduta del regime, si sentì perduto, spaesato poichè non aveva più ordini a cui obbedire e un capo da osannare. Giustificò i suoi crimini contro l'umanità con l'"etica" del senso del dovere e di ordini superiori che sarebbe stato impossibile, nonchè "immorale" disattendere. Insomma, il diavolo non è mai come lo si vuol dipingere, non è l'eccezionalità, l'extra-ordinario o il tentatore ammaliante dalle mille lusinghe, ma l'insospettabile omino della porta accanto.



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