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Il Trionfo Della Morte
(D'Annunzio,Gabriele)

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D'Annunzio comincia a scrivere questo romanzo nel settembre del 1889, un anno dopo "Il Piacere", e lo terminerà ben 5 anni dopo. La complessità dell'opera, infatti, giustifica la lunga e meditata gestazione.
Giorgio Aurispa, come lo Sperelli de "Il Piacere", è un esteta alla ricerca di un significato alto e nobile da conferire alla propria esistenza, in contrapposizione alla volgarità e banalità del vivere comune.
Cercherà come un disperato questo significato passando attraverso varie esperienze: la musica, il misticismo, il tentativo di recupero degli affetti familiari, l'abbandono alla forte passione sensuale per Ippolita, consumata in un eremo immerso nella campagna e a contatto con la vita semplice dei contadini.
Tutto, però, appare vano e alienante. Ad ogni esperienza cui segue la disillusione, il protagonista si sente intimamente estraneo. Persino la presenza della sua amante gli diventa fastidiosa. Aveva sperato che Ippolita, con la sua prorompente sensualità, avesse potuto guarirlo da tutti i mali esistenziali e rappresentare la risposta ad ogni dubbio. Invece, lungi dall'esserlo, la donna verrà avvertita come una nemica el a morte sarà l'unica possibile soluzione al "mal di vivere". Giorgio si recherà con Ippolita sull'alto di una rupe e si getterà di sotto, precipitandosi nella morte insieme alla sua compagna che, disperatamente, tenterà invano di sottrarsi all'abbraccio fatale.
Il romanzo si richiama apertamente alla teoria del "superuomo" di Nietzsche nel tratteggiare la personalità di Giorgio Aurispa che è un uomo al di là ed al di sopra dei suoi simili che si lasciano vivere un esistenza insulsa e mediocre. Ci vedo anche un legame, probabilmente inconsapevole, ad alcune teorie esistenzialiste di Kierkegaard. Non fu proprio il filosofo danese, infatti, a descrivere i vari stadi della vita dell'individuo, "etico", "estetico" ed "ascetico" ed a sottolineare come ogni possibile percorso, tranne quello che porta ad una sincera e totale comunione col Dio creatore, sia destinato al fallimento sfociando, irrimediabilmente, in una "noia" interiore? E l'accenno alla religione è pure presente nel romanzo di D'Annunzio. Giorgio assisterà con Ippolita ad una processione di paese, ma tutta quella massa informe e osannante non fece altro che generargli sentimenti di disgusto ed assolutà estraneità.
In conclusione, direi che nonostante la tragicità del finale della storia che, sembra, non ammettere vie d'uscita per chi voglia vivere un'esistenza autentica, D'Annunzio ci lascia in eredità un sentimento costruttivo di ricerca dei valori profondi delle cose, che non si trovano in superfice, ma solo indagando l'ombra.



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