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La Bottega Del Caffè
(Goldoni; Carlo)

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La bottega del caffè fu ideata e composta a Mantova nel 1750. Nella sua prima redazione, che fu anche quella rappresentata con successo in teatro, la lingua parlata da alcuni personaggi era il veneziano e ancora perdurava la tradizionale presenza delle maschere della Commedia dell?arte, nei personaggi del padrone della bottega, Brighella, e del suo servo, Arlecchino. Nel dare il testo alla stampa, Goldoni decise di mutare il veneziano in italiano ed eliminare le maschere, che furono trasformate rispettivamente in Ridolfo e Trappola. Come sostiene lo stesso Goldoni la sua intenzione non era di voler rappresentare una vicenda ben precisa, ma di voler dipingere una piazzetta di Venezia e la vita delle persone che gravitavano intorno a essa. Ed ecco quindi che tutta la scena non è altro che uno scorcio di realtà portato in teatro: ogni spettatore dell?epoca avrebbe facilmente potuto riconoscersi, o ritrovare qualche suo conoscente, nei panni di uno dei tanti personaggi. L?estrazione sociale che interessa all?autore è la piccola e media borghesia, che incarna la quotidianità, la ritualità di gesti e situazioni che si ripropongono in scena come nella vita vera. Non a caso tutto si svolge intorno alla bottega del caffè, luogo di ritrovo di avventori abituali e di passaggio, collocato al centro della scena come punto di fuga da cui si ha la visione di tutta la piazza e degli edifici che l?attorniano. Il suo proprietario, Ridolfo, è il personaggio chiave che tiene le fila degli avvenimenti, che inizia e pone fine alle vicende con maestria, mantenendo saldo il buon senso laddove viene a mancare. Antagonista del bottegaio è Don Marzio, gentiluomo napoletano, indiscreto e, suo malgrado, seminatore di zizzania. Protetti o vittime di questi due personaggi sono il signor Eugenio, di buona famiglia ma facile preda del gioco e delle donne, e sua moglie Vittoria, donna virtuosa e onesta; Flaminio, celato sotto il nome di Conte Leandro, che vive delle vincite al gioco con le quali mantiene la ballerina Lisaura, che lo crede scapolo e intenzionato a sposarla; Placida, moglie di Flaminio, vestita da povera pellegrina e alla ricerca del marito; Pandolfo, uomo senza scrupoli, proprietario della bisca situata accanto alla bottega del caffè. La commedia è chiaramente a lieto fine: tutto rientra nell?etica e nella morale comune, che vede trionfare il bene e punire il male. Interessante però è la chiusa, in cui in una specie di pubblico tribunale sono chiariti i malintesi provocati dalle maldicenze di Don Marzio, che quindi è accusato di calunnia, indiscrezione e spionaggio. Il gentiluomo che mai aveva messo in dubbio la bontà delle proprie intenzioni, come mai aveva contemplato l?idea di poter parlare o agire male, si vede costretto a riconoscere le proprie colpe e a partire da Venezia.



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