Se Questo È Un Uomo
(Primo; Levi)
Se questo è un uomo , di Primo Levi Nella letteratura dell?Olocausto questo libro si distingue per l?efficace valore di testimonianza diretta da parte di una vittima che, nel momento stesso in cui è vittima, decide di lasciare il documento della oppressione subita. Questo è il pensiero costante ed ossessivo di Primo Levi già mentre soffre nel lager di Monowitz, presso Auschwitz: e cioè che gli altri sappiano, che i posteri conoscano e percepiscano l?orrore nelle sue vere dimensioni e profondità. Difatti egli prese a scrivere appena pochi mesi dopo essere stato liberato dai russi e tornato dalla prigionia nel 1944. La data del dicembre ?45 conclude il racconto. La prima edizione è del 1947, la successiva è del 1958. Da allora il successo del libro non ha conosciuto soste. La narrazione adopera uno stile asciutto, senza fronzoli, semplice e nudo. L?orrore non può essere raccontato diversamente. Come nell?inferno di Dante, un girone dopo l?altro, Levi descrive la sua discesa nell?inferno del lager cominciando dalla cattura da lui subita ad opera dei fascisti italiani il 13 dicembre 1943, in quanto partigiano. Il trasporto nel treno blindato, l?arrivo al lager costituiscono la prima parte del libro. La scena dell?ingresso è quanto mai indimenticabile: i detenuti non vengono spogliati solo dei vestiti, insieme a questi essi perdono il nome, sostituito da un numero, perdono i pochissimi oggetti personali, perdono i capelli, perdono la loro umana identità. Senza il numero ?non si riceve il pane e la zuppa?, quindi non si sopravvive. La sopravvivenza fisica e il ricordo sarà d?ora in poi l?unico obiettivo di coloro che popolano il fondo dell?inferno, forzati alla lugubre ripetitività della liturgia carceraria: alzarsi, lavorare, subire botte, mangiare, dormire, ammalarsi, guarire o morire. E fra questi passaggi obbligati cercare un tozzo di pane in più, rubare ed evitare di farsi derubare, evitare di ammalarsi o ferirsi e, almeno per alcuni, conservare un minimo di dignità. Quest?ultima filosofia della resistenza interiore è efficacemente espressa dall?austro-ungarico Steinlauf: ?Una facoltà ci è rimasta, e dobbiamo difenderla con ogni vigore, perché è l?ultima: la facoltà di negare il nostro consenso?. Una frase che somiglia molto a un verso di Dante in uno dei canti dell?Inferno che Levi recita a memoria a un compagno: ?Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e conoscenza?. Ogni compagno di lager diventa un esemplare di umanità che reagisce in modo diverso all?oppressione estrema. Di Achtzhen, cioè di Zero-Diciotto, non è rimasto che il guscio della pelle e delle ossa, privo di ogni volontà e di ogni reazione. L?ebreo polacco Shmulek, giacente nell?infermeria privo di speranza di guarigione e perciò destinato al forno. Alberto, il compagno più affine a Levi, intelligente e sensibile. E via di questo passo, in una galleria di umanità degradata, ma che resiste come può. Levi stesso trova il principale aiuto a salvarsi diventando un utile addetto al laboratorio di chimica. Aiuta gli altri e viene aiutato: l?operaio Lorenzo gli regala una maglia e senza il tozzo di pane che gli porta per sei mesi Levi non ce l?avrebbe fatta. La liberazione arriva dai russi mentre le SS del lager sono scappate e i pochi superstiti del reparto, indeboliti dalla fame e dalla dissenteria, stanno rovesciando da una barella sulla neve il cadavere ?assai leggero? di un compagno. Molti altri continueranno a morire nell?infermeria russa. Il libro si apre in un modo insolito: con dei versi dell?Autore rivolti al lettore. ??..meditate che questo è stato:/ vi comando queste parole./ Scolpitele nel vostro cuore/?../ ripetetele ai vostri figli.? La missione di testimoniare che ?questo è stato? ossessionò il resto della vita di Primo Levi. E forse fu proprio il timore che non bastasse la sua testimonianza e i suoi libri a fissare per sempre l?atroce verità nella Storia, il timore insopportabile che si affievolisse quella memoria nelle nuove generazioni, fu questo a portarlo al probabile suicidio nel 1987.
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