Il Telescopio Di Schopenhauer
(Gerard Donovan)
La storia della nostra civiltà è inscindibile da quella della violenza. Lo ribadisce G. Donovan in questo suo romanzo d'esordio, la cui prosa implacabile è stata definita dall'Observer "dall'intensità fotografica". E il critico Colum McCann ha accostato Donovan addirittura a Knut Hamsun, Franz Kafka e Bernard Schlink. Una cittadina sotto assedio, un giorno di guerra, è inverno, c?è la neve e fa freddo. Due uomini in mezzo a un campo sorvegliato da soldati. Uno scava un buco, l?altro lo controlla. Per tutto il tempo uno scava e l?altro lo controlla, e fuma. A scavare è il fornaio. A controllare è il professore. Hanno poche ore di tempo per completare il lavoro, il buco deve essere profondo, largo e deve essere terminato entro il calare del sole. Col freddo e la neve e il vento gelido a tagliare la faccia, i due cominciano a parlare per sopportare il lavoro e per ingannare il tempo. Il professore conosce la storia, ha vissuto insegnando storia e ora prova a mettere in scena col fornaio le grandi guerre, le imprese di Gengis Khan, la battaglia di Wounded Knee, le dissertazioni di Locke, il cane nero di Hume, fino al telescopio di Schopenauer. Il fornaio gli tiene testa, sa fare il pane e ha letto per tutta la vita, perché era solo, era sempre stato solo e aveva avuto sempre bisogno di difendersi. I libri gli erano sembrati un buon modo di difendersi. Sono le informazioni quelle che contano, dice, cose da usare, cose utili per cucirti addosso maschere simili a te, finché diventano te e ti proteggano dagli altri. Intanto i camion continuano a portare gente, occhi vuoti, mani che cercano il contatto di altre mani amiche, sorelle, figlie o madri. Li dispongono in sei file, sotto la neve che continua a cadere.
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