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(Camilleri, Andrea)

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Montalbano non c'è, ma l'impianto di questo libro di Camilleri è
comunque quello di un giallo, anche se questa volta si parla di
un delitto a sfondo politico.
Tutto comincia verso la fine del ventennio con la celebrazione
dell'anniversario dell'assassinio di un fascista ad opera di un
bolscevico. L'ucciso è stato trasformato nel primo (e unico) martire
fascista siciliano e come tale ricordato con manifestazioni oceaniche
nel paese dove abitava ed è stato ucciso. Ma Camilleri ripercorre la
storia di questo omicidio utilizzando una tecnica che si può dire
cinematografica; tutto il libro è infatti un flashback (dalla
celebrazione si torna ad esaminare cosa è successo dal momento
dell'uccisione fino al processo e quello che segue, per tornare alla
fine alla manifestazione iniziale). Ma ancora più originale (e
cinematografica) è la ricostruzione del momento centrale della vicenda,
in cui l'omicidio viene rivisto e analizzato, per così dire, al
rallentatore e da diversi punti di vista.
Ma, come in ogni giallo, le apparenze ingannano, e quando cominciano ad
emergere fatti e testimonianze che potrebbero dimostrare l'innocenza
dell'assassino, il potere ricorre a tutti i mezzi per nascondere la
verità, riuscendo infine a far condannare al carcere e poi mandare al
confino l'accusato.
Parallelamente alla storia principale, c'è una vicenda secondaria, che
prende spunto dalla visita di Mussolini nel paese dell'ucciso. Per
ingraziarsi il Duce, i gerarchi locali decidono di fargli posare la
prima pietra di una nuova città che si chiamerà Mussolinia. Dopo questa
visita, la costruzione della città si ferma. Quando Mussolini dopo
diversi anni, a sorpresa, chiede notizie della sua città, i gerarchi
locali non trovano altra strada se non promettere di far vedere quanto
prima le foto che ne dimostrano lo stato di avanzamento. La città
quindi viene costruita da uno scenografo di Cinecittà (ancora il
cinema...) che erige a tempo di record mura e strade in cartone e legno
per permettere la realizzazione del servizio fotografico. Come si può
chiaramente capire, c'è un evidente parallelismo tra la falsità della
città e la falsità delle prove a carico dell'imputato.
La scrittura di Camilleri, con quel suo modo di interpretare il
dialetto siciliano, è sempre godibile, una volta imparati i vocaboli
chiave. Anche le caratterizzazioni dei personaggi sono veramente
centrate, come ad esempio il barone, capo dei fascisti della città, che
nei momenti critici non è mai presente ed invia lettere al giornale per
giustificare la sua assenza, motivandole in genere con gravissimi
problemi di salute che lo hanno costretto a rimanere al di fuori della
mischia.



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